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03/05/2010

Scenografia contemporanea

Filed under: Scritti — Daniele @ 9:47 am

Cari lettori, ho il compito di dover presentare questa nuova iniziativa editoriale, spiegandone le ragioni e le finalità. Contemporary Scenography nasce in un momento particolare della nostra epoca assolutamente sorprendente, per capacità di mutazione e carica inventiva. Il progresso tecnologico ed il percorso dell’arte hanno spesso disegnato i confini e le configurazioni del sapere con reciproche contaminazioni. Ma è lecito chiedersi se siamo effettivamente pronti a nuove sfide, e non ci sia piuttosto una sorta di “vuoto formativo”, o meglio: i nostri ordinari percorsi sembrano ancora fortemente frazionati, spesso non comunicanti e comunque non in grado di corrispondere alla richiesta di una complessa progettualità. Mentre da una parte assistiamo ad un’inevitabile proliferare di documenti di natura scientifica, destinati ad una cerchia ristretta di utenti, dall’altra sponda è scomparsa del tutto la letteratura scenografica. E’ bastato annullare dalle agende il dibattito sulla grande scenografia, quella che aveva visto negli anni 50, agli albori del neorealismo italiano, i grandi registi e i grandi architetti scenografi confutare e confermare tesi spesso azzardate, ma sempre e comunque futuriste e futuribili e quindi cariche di attenzione per l’avvenire delle nuove generazioni. Questo lento depauperamento della cultura scenografica è iniziato alla fine degli anni ’60 ed è figlio di quella “… cultura universitaria dove molti di noi si sono formati mezzo secolo fa, una cultura non preoccupata più di trasmettere un’immagine unitaria del mondo, ma di fornire degli stereotipi di alcune realtà parziali, spezzettate, nell’intento di formare un numero sempre più cospicuo di specialisti che potessero contribuire con la loro opera allo sviluppo della nostra società. Si è creata così a poco a poco un tipo di civiltà sui generis: la civiltà degli specialisti … (Roberto Rossellini). Oggi lo specialista ha il compito di fornire un bagaglio incalcolabile di conoscenze, ma solo in una direzione. Ma lo scenografo è qualcosa di più se non qualcosa di diverso da un bravo tecnico. Egli è come lo definì Josef Svobota: un regista al 50% così come il regista è uno scenografo al 50%. Per essere scenografi occorre dunque avere innanzitutto una buona e vasta cultura generale, base che spesso manca agli specialisti. La scenografia, come ben sappiamo, richiede una conoscenza vastissima che si traduce poi in “curiosità”, poiché lo scenografo dovrà impegnarsi a ricostruire gli ambienti più disparati e di diversa natura. A queste informazioni si dovranno sommare poi componenti specificamente creative, i processi che riguardano la storia, la cultura, la drammaturgia, la psicologia, il tempo, una particolare metodologia tecnica, il luogo ed il suo rapporto con lo spettatore ed altro ancora.
Ma oggi sembra giunto il tempo in cui scienza e arte dovranno tornare a convergere: “… Non è più possibile per uno studioso che adotta procedure informatiche, non avere nozioni basilari sull’uso e sulla qualità delle immagini e delle interfacce; allo stesso modo un artista non può ignorare aspetti formativi scientifico-matematici per addentrarsi negli affascinanti meandri degli strumenti interattivi. Abbiamo bisogno gli uni degli altri e soprattutto di un continuo, infinito aggiornamento attraverso il quale è impossibile ogni nuovo, imprevisto risultato o creazione”. La tradizionale messa in scena vede, dunque, spesso competenze e saperi diversi procedere, nello stesso spettacolo, quasi isolati, pur nella comune finalità, ognuno convinto di essere l’elemento indispensabile: così l’attore, così il regista, così lo scenografo, così il musicista, così il tecnico. Ma nelle nuove forme di spettacolo intermediale, ad esempio, questo non può succedere: è impensabile che il performer non collabori con l’ingegnere per arrivare ad un risultato ottimale e che quest’ultimo non si consulti con il regista e che questi non decida con lo scenografo la variazione e che il tecnico non capisca la natura di questa esigenza ecc …” (Daniele Paolin, The Scenographer Issue No.7 – Sett. 2008).
L’inter-attività sembra essere quindi un concetto guida soprattutto in campo formativo laddove corsi di specializzazione e centri di ricerca rappresentano l’anello mancante fra il mondo dello studio e quello della professione e della produzione.
Contemporary Scenography si prefigge dunque questa missione. La stiamo condividendo con le Università europee, con i professionisti e la condivideremo, mi auguro, con le aziende che invitiamo ad organizzare quella formazione professionale che richiede un campo di applicazione ormai senza confini. Ma innanzitutto la condivideremo con voi: studenti universitari, docenti, ricercatori, appassionati di un’arte così antica eppure così moderna. 

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