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20/07/2011

Come non essere d’accordo?

Filed under: News — Daniele @ 10:04 am

La Repubblica

IL TEATRO ALLA RIBALTA SU IL SIPARIO

16 luglio 2011 — pagina 33-34-35 sezione: R2

Lo spettacolo dell’anno è stato l’ occupazione del Valle. Una maratona teatrale che va avanti da un mese, con duecento artisti sul palco, decine di migliaia di spettatori, recensioni sulle pagine e i siti del mondo, dal New York Times a Libération. Un sogno di mezza estate che ha trasformato il più antico teatro di Roma nella casa della cultura italiana, dove sono passati davvero tutti, in un laboratorio del futuro e finalmente in una notizia da prima pagina. Perché il problema o il luogo comune intorno al teatro è che non fa notizia, è troppo vecchio e ormai destinato a morire. Da anni, decenni. La morte del teatro va in scena, con gran successo, da quasi un secolo. Eppure resiste. Anzi rinasce. Mischia gli stili, i linguaggi, torna alla parola, usa la danza, le installazioni, i video, combina le arti e i corpi. Un mese fa il New York Times ha definito la consegna del Tony Award – il massimo riconoscimento del teatro americano – la “vera cerimonia degli Oscar”. Perché hanno più prestigio, perché innovano davvero. Tanto da diventare un premio che nobilita altre carriere. Infatti negli ultimi anni li hanno vinti anche star del cinema: Catherine Zeta-Jones, Denzel Washington o Scarlett Johansson, che spesso preferiscono Broadway. C’ è chi dirige teatri e compagnie, come Kevin Spacey e Cate Blanchett e registi che fanno avanti e indietro tra teatro e set. Sam Mendes, Oscar per American Beauty, ha fatto esordire sul palco Nicole Kidman. Persino la televisione ha bisogno del teatro: la serie di successo Glee con i suoi numeri musicali aggiorna Saranno Famosi. Così il teatro sta tornando ad essere un luogo culturale, ricercato, utilizzato come modello anche nel mainstream. Poi ci sono i grandi festival internazionali. Come ad Avignone (fino al 26 luglio), laboratorio di sperimentazioni e di classici. Da Strindberg a Genet fino alle nuove stelle Vincent Macaigne, che mischia tragedia greca e universo grunge,o la drammaturga spagnola Angélica Liddell. Eppure fino a poco tempo fa le luci sembravano spente, nell’eterna cronaca di una morte annunciata. Annunciata per la prima volta proprio al Valle, dove esordì la battuta che ha cambiato la scena del Novecento: «Chi è là in fondo?» «Siamo sei personaggi in cerca d’ autore». Il teatro doveva morire a ogni nuova invenzione del comunicare, la stampa, la radio, il cinema, la televisione. Fino a che non è arrivata l’ ultima, Internet, a rovesciare tutti i termini della questione. Nel mondo virtuale lo spettacolo dal vivo è l’unico a non patire la riproducibilità tecnica e il cannibalismo della rete,a non poter essere «scaricato» come il resto. Quindi ormai sappiamo che i nostri figli o nipoti non vedranno più una copia di giornale, una sala di cinema, una radio e un televisore, se non in un museo. Ma di sicuro prenderanno posto in un teatro per assistere a una rappresentazione dell’ultimo testo di Shakespeare, o di Sofocle, come si fa da tremila anni. Le facce giovani degli occupanti e degli spettatori del Valle di questo mese sono un segnale, fra i molti. La sottovalutazione sistematica del mondo del teatro e dello spettacolo in generale è stato in questi anni in Italia un tratto costante, quasi ideologico. Per la retorica dei politici al potere il teatro è il più inutile degli enti, uno spreco di danaro, un luogo di fannulloni mantenuti. Senza contare che in assoluto «con la cultura non si mangia», come dicono i vari Tremonti o Brunetta, in questo d’accordo. Il teatro non è per il popolo, ma per le insopportabili élite sinistrorse. Lo spettacolo non è industria, ma carrozzone. Ora, da dove vogliamo cominciare? Il teatro impopolare. Qual è lo spettacolo popolare in Italia? Naturalmente, il calcio. L’ossessione nazionale. Ebbene, nel 2010 ai botteghini teatrali per prosa, musica, lirica e balletto, si sono venduti 22 milioni 864 mila biglietti, 700 mila più del calcio. La sola prosa ha venduto 14 milioni 605 biglietti. La crescita degli spettacoli dal vivo è stata del 3,51, un mezzo boom se si considera che il 2010 è stato l’ anno nero dei consumi in ogni settore, dall’alimentare ai libri. Secondo luogo comune: non si tratta di un’ industria, non produce, non crea lavoro e guadagno. Qual è la grande industria italiana? Ormai non rimane che l’ automobile. L’ industria dello spettacolo nazionale ha lo stesso numero di lavoratori, 250 mila. La differenza è che lo spettacolo crea nuovi posti e l’automobile ne perde, visto che non è possibile de localizzare le fabbriche teatrali. E questo nonostante i tagli alla cultura abbiano fatto perdere soltanto nell’ultimo anno 150 mila ore di lavoro nel settore. L’ auto è un prodotto maturo, se non decotto, e la cultura aumenta ogni anno la redditività: per ogni euro investito ne tornano cinque. Alla luce di queste poche cifre, proviamo a confrontare quanto spazio sui media ha la stagione calcistica e quanto la stagione teatrale, oppure quanti aiuti di Stato sono piovuti negli ultimi anni sulla Fiat e quanti ne hanno ricevuti cinema e teatro. Intendiamoci, gli sprechi esistono. Nessuno ha davvero voglia di riesumare l’ Eti, l’unico ente teatrale pubblico soppresso dall’ultima finanziaria, così com’era, con tutte le pratiche clientelari. Nessuno può negare certi aspetti da baraccone assistito degli enti lirici. Prima di ripristinare il fondo per lo spettacolo, sarà bene riflettere sui criteri di gestione dei teatri stabili italiani, che da Bolzano a Palermo sono in mano da decenni agli stessi staff di dirigenti, una piccola casta. In definitiva, i veri teatri «occupati» d’ Italia, altro che il Valle. Non è neppure un caso che il teatro italiano capace di conquistare il mondo negli ultimi decenni sia nato fuori e contro l’istituzione pubblica, dalla palazzina Liberty di Dario Fo alle cantine romane di Carmelo Bene negli anni Settanta fino ai fenomeni dei Novanta, la Raffaello Sanzio o Pippo Delbono. Per un Luca Ronconi o un Mario Martone che continuano a tenere alta la bandiera degli stabili di Milano e Torino sopravvivono troppi burocrati incistati da troppo tempo nelle comode pieghe del parastato spettacolare. La vita teatrale trova altre strade. Ha saputo raccontare l’ Italia con il teatro civile, rendendolo popolare e tragico, e continua a produrre nei nostri anni novità di valore internazionale, da Emma Dante a Babilonia Teatro, Ricci/Forte, Santasangre, Codice Ivan. Senza contare le centinaia di piccoli gruppi cresciuti nelle periferie, nei centri sociali, nei teatri di quartiere, perfino accanto ai centri commerciali. E il pubblico non manca mai. Nella capitale degli affari, Milano, la borsa crolla mai teatri rinascono e tornano a riempirsi, come i rinnovati e bellissimi Parenti e Puccini, il Piccolo della sede storica di via Rovello. A Milano quest’anno si celebrano i cento anni della prima vera istituzione di teatro pubblico, il Teatro dell’Umanitaria, il primo in Europa ricavato da una fabbrica dismessa, al quale i ventenni Strehler e Grassi s’ ispirano nel dopoguerra per il progetto del Piccolo. Quello che manca, rispetto alla gloriosa epoca del Piccolo, è un terreno d’ incontro fra le istituzioni, trasformate in feudi politici, e la rigogliosa creatività del nuovo movimento teatrale. Il sogno di mezza estate del Valle è servito ad aprire una porta fra i due mondi. La proposta degli occupanti di rendere il Valle la casa della drammaturgia nazionale, classici e nuovi autori, come il Royal Court inglese,è un’ occasione da non perdere e un modo di lasciare un segno forte e tangibile delle celebrazioni per l’ unità d’ Italia.

CURZIO MALTESE

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