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03/05/2010

Pensierini…

Filed under: Scritti — Daniele @ 9:34 am

Leggo su “La Repubblica”.
Autori contro la “dittatura dei numeri”. Due iniziative denunciano l’indifferenza della politica alla cultura…Renzo Arbore inveisce contro il “grande dittatore dei numeri”, il commercio che domina la cultura, la misurazione delle opere in “vincitori e vinti” e “vende non vende”, contro la critica che corre “in soccorso dei vincitori”. Lidia Ravera mette il dito nella piaga di una gioventù privata di speranza, fiducia e ambizione: i giovani intasano le infinite scuole di formazione creativa e artistica, aspiranti al cinema, alla letteratura, al giornalismo. Certi che nessuno li ascolterà. Che non potranno investire nel proprio talento, crederci, provarlo. Solo cultura e arte possono riempire il vuoto lasciato dalle ideologie: chi rappresenterà il nostro tempo?

Leggo nell’inserto “La Repubblica delle donne”.
Scandalo al sole. Chi decide il prezzo dell’arte? Le aggettivazioni con cui oggi si descrive l’arte contemporanea sono sfaccettate, sufficientemente esaltate, ma ruotano tutte intorno ad un unico tema: il costo. L’arte contemporanea è carissima, dettaglio che la rende ancora più attraente, perché i soldi richiamano i soldi. E lo è, costosa, più ormai dell’arte antica. For the Love of God di Damien Hirst (teschio di diamanti) è stato venduto a 75 milioni di euro. Diversa cosa, invece, è la produzione dell’arte. Un dietro le quinte di questo bel mondo che in genere non si guarda mai e che è molto difficile penetrare. Specie in Italia che, da buon paese cattolico, parla malvolentieri di soldi e nel silenzio nasconde una discreta quota di sommerso, di nero, incentivato da una legislazione punitiva e da una sorta di voto di scambio che a volte si attiva tra gallerie e musei: io, museo, ti faccio la mostra e tu, galleria, mi produci le opere che poi rivenderai meglio. The Matter of Time di Richard Serra (opera in acciaio pesantissimo) è costata 21 milioni di euro. La Leo Castelli gallery di Soho ospitando un’opera di Serra pesantissima, vide crollare il pavimento che uccise una persona. La Pirelli Re per acquisire i Sette palazzi celesti (torri di Anselm Kiefer, che si muove solitamente con un aereo privato, per l’Hangar Bicocca) ha sborsato 7 milioni di euro. Fabio Cavallucci, direttore della Galleria Civica di Trento, è impegnato a realizzare Family Monument dell’artista Gillian Wearing, ha scelto di realizzare l’opera in bronzo in Cina:”Costa un terzo di quanto costerebbe in Italia, poco più di 30 mila euro rispetto a 90 mila” (n.d.r. e il trasporto?).

Pensierini. (questo termine non si usa più, ma quand’ero piccolo si usava molto, alla scuola elementare…)
Mi chiedo cosa abbiano queste due notizie in comune. Sento che c’è qualcosa che le lega, ma fatico a capirne il legame. Ci provo. Ecco, ci sono: l’arte e gli artisti cominciano a starmi le scatole, non li sopporto più (affermazione assai grave…), per lo meno questi artisti e quest’arte che non mi interessano più. Da una parte. Dall’altra vedo sempre più negare la cultura, il suo valore, la sua portata, in ogni suo germoglio spontaneo, in ogni sua forma aggregativa, in ogni suo tentativo di autoalimentarsi e di riprodursi. E il denominatore comune cos’è? I soldi, la grana, il budget, i schei, i dollari, gli euro, in una parola: gli “investimenti” i quali producono “progresso” e “sviluppo” (altri termini che non sopporto più). Meglio investire in teschi coi diamanti o in 150 spettacoli teatrali? Quante ottime iniziative culturali si possono fare con 21 milioni di euro? Credo sia questo il nesso fra le due notizie, anzi, ne sono sicuro. Mi vengono allora in mente due tipi di artista (parola che non amo quando viene inflazionata e quando è autodefinente): il primo è quell’essere un po’ borioso, capriccioso, strano, “originale” che ha bisogno di ostentare qualche stravagante capo d’abbigliamento o un’acconciatura particolare o un bizzarro cappellaccio in modo tale che chiunque lo veda pensi “quello è un artista sicuramente” (quanti Maestri così ho visto e vedo nelle Accademie d’arte, registi nei teatri, attori, scrittori…retaggio di una figura ottocentesca ormai desueta e quasi penosa…!); l’altro è un artista che ha dedicato tutta la vita alla ricerca, all’indagine, contando i pochi spiccioli che aveva in tasca, centellinandoli ed investendoli in pochi e poveri materiali per “produrre” cultura, progressione di idee, studio delle teorie, etica delle pratiche, progetti meravigliosi, sperimentazioni laboratoriali, sogni utopici, nuove frontiere, punti d’arrivo imprevisti. Spesso non riuscendoci, altre volte approdando a idee straordinarie. Sovente avversato, ingannato, deriso o quantomeno sottovalutato da situazioni e persone. Quando ci accorgiamo (ammesso che ce ne accorgiamo…), qualche volta non ci sono più: e viene a mancarci la loro parola sicura, la loro forza, la loro opera e soprattutto il loro esempio. Resta però un patrimonio di testimonianze, dalle quali qualcuno, se vorrà, potrà ripartire.
Lasciamo quindi che la parola “artista” sia un aggettivo che ci danno gli altri, una onorificenza verbale riconosciuta, effettiva, un valore aggiunto a quello che abbiamo dato, non a quello che abbiamo venduto e a quanto costava…

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