www.olin.it Daniele Paolin – personal site

16/12/2011

Modelli in ascesa, modelli in discesa

Filed under: Scritti — Daniele @ 10:29 am

Premessa

Ultimamente sono stato combattuto interiormente da una serie di sensazioni di natura profondamente diversa, ma accomunate da un stesso senso di vuoto deludente. Ho passato una vita all’insegna della prassi artistica e teatrale, costantemente alla ricerca di soluzioni esteticamente e visivamente ottimali rispetto alle necessità e disponibilità sia di tempo (per ottenerle) sia di costi (il più possibile contenuti). L’efficacia delle soluzioni che si possono creare ha allenato la mia mente a puntare direttamente a questo obbiettivo, attraverso scorciatoie logiche, semplici, chiare, possibili e quindi praticabili, non sempre peraltro percorribili, anche con una estrema applicazione ed impegno. Ho soprattutto capito nel tempo – ma molto presto – che come “artista”, inteso nel termine tradizionalmente riconosciuto, non avevo niente da dire e mi sono gettato a capofitto nella cosiddetta arte applicata (non so se pur sempre arte, dilemma per me irrilevante). Questo sul versante della mia attività professionale. Sul versante invece dell’insegnamento e della divulgazione, mi sono sempre sforzato di essere soprattutto chiaro, in primis, in tutto quello che esterno (lezioni, conferenze, articoli, spettacoli), ma anche su quello che poi pretendo quando sono chiamato a dare un giudizio (rappresentato dall’esame) sul singolo studente. Perché attraverso la mia esperienza di docente ho capito che la chiarezza (e la fatica e lo studio per ottenerla) è un’arma fondamentale nella comunicazione didattica (e non), la quale deve costantemente lottare invece con una serie di sovrastrutture basate su modelli diffusi e negativi che rendono assai difficile mantenere un livello “alto” di logica e di chiara comprensibilità. Soprattutto quando si tratta di argomenti – chiamiamoli – artistici, i modelli assumono un significato importantissimo, essenziale. Tutto ciò – ho capito, riferendomi ai modelli – ha profondamente condizionato soprattutto la seconda parte della mia esistenza, l’età della maturità. Spero nelle prossime righe di arrivare dipanare una serie di pensieri e quesiti che sempre più spesso mi capita di pormi.

Che succede?

1.0 – Letteratura. E’ ormai da qualche anno – la mia scarsa memoria non è in grado di individuarne la quantità – che mi succedono fenomeni strani, anche se ultimamente credo di averne individuato la causa. Dopo un’adolescenza ed una maturità che mi hanno visto divorare qualsiasi tipo di testo narrato, mi capita, per esempio, di tentare di leggere ancora qualche libro di narrativa, anche scritto bene, di discreto fascino, ma purtroppo di non riuscire ad andare oltre la quarantina di pagine… Per contro apprezzo sempre di più argomenti e stili giornalistici soffermandomi sempre più spesso sulle “lettere al direttore”, più fresche, dirette, “vere” e sulla bellezza di uno stile di scrittura immediato, ma non semplicistico, efficace ed esaustivo al tempo stesso su cui i miei occhi e la mia mente non si stancano, ma scorrono leggeri e desiderosi soprattutto di conoscere e di capire la realtà e la complessa fenomenologia che ne è alla base. Tutto farebbe pensare ad una pigrizia letteraria incipiente. Ma quando mi trovo – abbastanza spesso – a leggere un saggio su un argomento che mi interessa particolarmente riesco a “divorarlo” in tempi accettabili. Credo sia essenzialmente una questione di rapporto fra stile di scrittura (forma) – vs. – contenuto (sostanza) che mi attira. Ed ho finito col capire che essenzialmente le “storie” non mi interessano (più); la poesia – per sua natura sintesi – un po’ (di più)… Ho soprattutto capito il fastidio che esercita il loro potere di distrarmi dalla (più interessante) realtà, dal pensiero e dalle sue proprietà e potenzialità evolutive. Oppure può darsi che la realtà abbia ormai superato qualsiasi livello e modello di invenzione?. Scendendo di un gradino noto che un numero sempre più crescente di persone si dedica alla scrittura ed alla poesia. In virtù di cosa? E soprattutto, mi chiedo, è un bene?

1.1 – Arte.

Riesco sempre meno a sopportare l’arte e gli artisti – parlo esclusivamente della contemporaneità -. Non amo particolarmente chi si autodefinisce artista: lo amo ancor meno quando – nella maggior parte dei casi – vedo il materiale che produce. Diverse sono le sensazioni che ho quando vedo – sempre meno spesso – qualche mostra, anche di una certa importanza. Avevo sempre vissuto all’insegna del motto “vedere il più possibile” soprattutto nel campo dell’arte. Ora sempre più spesso avverto un disagio, vicino al disinteresse sia sul piano emotivo (importante) sia sul piano della pura curiosità. Le opere contemporanee mi emozionano e mi attraggono sempre meno e mi chiedo: è colpa mia e quindi di una mia metamorfosi mentale nel tempo (vecchiaia) o è proprio colpa dello scarso interesse che suscita in generale l’arte contemporanea? Finisco per vedere, in opere considerate “nuove” o “novità”, delle assonanze col passato, una sorta di “déjà vu” e tutto questo finisce per annoiarmi a morte. (Sarò mica snob…??? Non credo!). Ci sono, ma sono sempre meno gli esempi che possano far pensare ad una evoluzione, ad un nuovo modo di vedere e di sentire la realtà che ci circonda, ad una nuova sensibilità verso i numerosi fenomeni che ci investono. Abbiamo parlato di arte e di artisti affermati. Ma, scendendo di un piano – sotto un profilo peraltro discutibile di importanza -, guardo le opere dei dilettanti e cioè di coloro che lo fanno per passatempo o per “passione” e che solitamente hanno poca preparazione sia sul piano tecnico che su quello dei contenuti. Procedono molto soprattutto per emulazione (dei cosiddetti grandi…) ma lo fanno col desiderio naïf di essere considerati già a tutti gli effetti “artisti”: finiscono per emularne anche i difetti… Anche qui avverto disagio e noia, per essere definitivamente sinceri. E mi chiedo il perché naturalmente. Non è forse giusto che chiunque ne abbia il desiderio (sincero e legittimo) non possa provare a dipingere, ma anche scrivere, recitare ecc.? E’ una costante nei miei pensieri, ma allora perché avverto un senso di disagio che rasenta il rifiuto? La cosa mi preoccupa…

1.3 – Spettacolo.

I quesiti descritti in precedenza trovano riscontro anche in campo teatrale, campo in cui ho sempre gravitato professionalmente. Vado a teatro e vedo…vedo regie che tentano di imitare i grandi registi, spesso senza nessuna ricerca vera di nuovi linguaggi espressivi (tranne pochissimi esempi), senza averne né i mezzi economici, né quelli intellettuali. Vedo, per contro, registi – considerati grandi – che aspirano paradossalmente ad un livello amatoriale, sgrammaticato, un po’ confusionario, come nuova frontiera di studio e di ricerca linguistica, ma dopo esattamente dieci minuti in cui sono seduto ad aspettare che succeda qualcosa in palcoscenico, mi alzo e me ne vado (perché un’accozzaglia di urla, rumori e recitazioni da pollaio non conducono a nulla di comprensibile e soprattutto senza una vera dose di “spettacolo” nell’accezione più pura del termine…). Tutto sembra inglobarsi in una sorta di polpettone indistinguibile in cui manca soprattutto l’esplicitazione, la chiarezza, il messaggio indirizzato, toccante, senza sovrastrutture e complicazioni, comprensibile, diretto, le sole qualità rimaste quale patrimonio esclusivo del teatro. E poi? E poi, critiche acefale, paroloni, invenzioni linguistiche a supporto… del nulla. Per contro le poche, vere ricerche in campo teatrale non si possono vedere: o sono all’estero o non sono affatto pubblicizzate o sono addirittura boicottate (ideologicamente e finanziariamente). Sembra quasi sia diventato facile fare teatro, alla portata di tutti. D’altronde la media delle trasmissioni-concorso televisive sempre più frequenti inducono giovani e meno giovani a pensare che il successo sia lì, a portata di mano, anche senza un grande talento e senza una dose eccessiva di studio.

1.4 – Musica

C’è un campo artistico in cui è più difficile, credo, “barare”: la musica. Suonare uno strumento, comporre, cantare leggendo la musica, sono tutte operazioni che richiedono un percorso disciplinare obbligatorio: bisogna conoscere la teoria del solfeggio, impadronirsi di uno strumento attraverso l’esercizio costante e molti altri studi e perfezionamenti ancora. Non c’è altro modo…Ma la musica contemporanea (“pop” che sta per popolare) – quella che si sente soprattutto dentro le cuffiette degli adolescenti – ne può anche fare a meno. Un campionatore, una base ritmica, un programma di sound-editing ed altre diavolerie elettroniche mixate ad un discreto “buon gusto” musicale possono creare delle “compilations” accettabilmente gradevoli (anche se mono-tone). Sembra anche questo estremamente facile ed accessibile. Anche se con risultati di dubbia qualità compositiva.

Conclusioni

Perché, allora, questa specie di ulteriore lamento in un mondo di sempre più frequenti e scontati lamenti? Considero pericolosa la china che stiamo percorrendo per una serie di conclusioni a cui sono giunto. Il raggiungimento di certi obbiettivi “facili” o facilmente (o falsamente) accessibili inducono a pensare che molta parte della cosiddetta Arte sia alla portata di chiunque e soprattutto con molta semplicità e poco sforzo. Non credo sia così, non credo sia possibile, non per me almeno. Dobbiamo soprattutto soffermarci a pensare al fatto che quando produciamo o semplicemente copiamo qualcosa, il nostro prodotto assume – volenti o nolenti – un’etichetta che porterà a confronti, a comparazioni, ad equazioni, a valutazioni proporzionali. Mi spiego meglio: quando una mente giovane, semplice o soltanto impreparata, primitiva, vede un prodotto (considerato) artistico o vi si accosta, di qualsiasi livello sia, crede che questo sia un “modello” possibile di Arte (con la A maiuscola) a cui fare riferimento. Se il modello è o soltanto sembra “facile”, diventa inevitabilmente un punto di rimando con la semplice e lineare proporzione: se questa è arte, anch’io ne posso produrre. E poi successivamente, semplificando: tutta l’arte è quindi accessibile a tutti. Questa specie di “accessibilità” diffusa, unita ad un senso malinteso di totale “libertà espressiva” ha modo di provocare danni, secondo me, enormi. E’ figlia dell’istintivo “mi piace: non so perché ma mi piace” e basta. Non è figlia del “mi piace perché….”. Esclude qualsiasi ricerca e curiosità sulla motivazione tecnica, storica, sociale, culturale. Esclude l’acquisizione consapevole e quindi l’evoluzione diffusa, capillare del gusto. E più i modelli sono “bassi”, più seguaci hanno in questa perversa logica, proprio perché hanno un alto grado di “accessibilità”: come si suol dire (televisivamente), lo “share” è altissimo. Diventa una corsa verso il basso, non un’evoluzione, ma un’involuzione: l’esatto contrario di quello che dovrebbe succedere e che è successo nei periodi storici più “felici” (vedi alla voce “Rinascimento”).

dp

Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

Powered by WordPress