01/11/2006 – Lettera a Mario Pirani – La Repubblica
Gentile Pirani, mi permetto di scriverle mosso da una serie di letture di suoi articoli, sempre interessanti, comprese varie risposte e dichiarazioni di personaggi coinvolti (compreso il ministro Mussi). Ultimamente si parla di Università in relazione alla qualità, alla quantità, ai programmi, all’organizzazione e agli stipendi ed oggi, su Repubblica, il Ministro Rutelli auspica che la storia dell’arte venga rivalutata e insegnata in tute le scuole e non solo in qualche liceo e dice di voler creare, oltre a quelli del cinema, un festival del teatro. Che nesso può avere tutto ciò? Glielo spiego subito. Sono un docente di ruolo di materie teatrali (legate alla scenografia) presso l’Accademia di Brera di Milano ed abito in provincia di Venezia.
Le accademie, pur essendo entrate recentemente nel comparto universitario (MIUR, prima erano incredibilmente legate alla Scuola Media Superiore, Istruzione), restano una sorta di “sorelle minori”, un mondo separato e trascurato soprattutto culturalmente e normativamente: vengono considerati degli studi “minori”. Infatti pur inserite nella riforma 3+2 con bienni di specializzazione ai quali accedono studenti di molte altre facoltà, pur rappresentando il più alto grado di studi in fatto di arte in Italia, pur essendo soltanto 19, pur svolgendo da anni programmi competitivi sul piano formativo rispetto per esempio a facoltà analoghe come quella di architettura, il diploma che rilasciano non è mai assurto a livello di “laurea”. Ci si ostina a chiamarlo “diploma superiore”, anche se parificato, equipollente, equivalente ed ogni altro termine che comunque non sia “laurea”. Le stesse accademie sono Istituti di Alta Cultura, ma non sono Facoltà universitarie (i loro rappresentanti non siedono al tavolo del CUN, Consiglio Universitario Nazionele, ma a quello dell’AFAM, Alta Formazione Artistica e Musicale) e siamo uno dei pochi paesi europei in cui gli studi sull’arte e sull’immagine non hanno dignità di laurea, assieme a quelli sulla musica naturalmente. Ma arriviamo anche alla nota più dolente e non ultima. Pongo solo una domanda retorica sottoforma di indovinello: se i nostri parlamentari hanno uno stipendio doppio dei loro colleghi tedeschi, i quali hanno uno stipendio doppio dei docenti universitari tedeschi, i quali hanno uno stipendio doppio dei loro colleghi italiani, i quali hanno uno stipendio doppio rispetto ai colleghi delle accademie italiane, quante volte lo stipendio di un docente d’accademia sta in uno di un qualsiasi parlamentare della Repubblica Italiana? Le porto il mio esempio: sono docente di ruolo con 22 anni di anzianità ed in busta paga ho, netti a fine mese, € 1794, lavoro a Milano e abito in provincia di Venezia (€ 400 al mese, in media, di spese, più i libri e gli spettacoli che sono fonte di aggiornamento per noi scenografi), per un contratto che prevede 480 ore di insegnamento annuali (contro le 120 di un collega universitario) e nessuna facilitazione o benefit di sorta (il tesserino del ministero dei beni ambientali e storici che ci faceva entrare nei musei statali gratutamente, ci è stato tolto…). Che dire allora quando leggiamo la sua denuncia (giustissima) sul proliferare di università, di cattedre e docenti improvvisati, di titoli fasulli, di abbassamento dei livelli, di spese e sovvenzioni del ministero, di tagli? E che dire al Ministro Rutelli, quando auspica uno studio più diffuso della storia e dell’arte? Come vengono trattati gli studi su questa materia al livello più alto? Ci si accorge solo ora dell’importanza che possono rivestire in campo culturale e non solo? Sono decine e decine di anni (almeno 40) che le Accademie si battono per un riconoscimento maggiore da parte dei vari organismi, Ministeri e ministri compresi, ed i fondi stanziati per questo settore sono una frazione di quelli alle facoltà universitarie. Mettiamo ordine e diamo dignità a studi che sono fra i più prestigiosi ed antichi (nell’università medievale, prima di accedere alle varie discipline specialistiche, si facevano, obbligatoriamente, sei anni di studi sull’arte…!). Siamo poche migliaia fra studenti e docenti: i costi non sarebbero altissimi, ma permetterebbe a questi studi di non essere relegati in una sorta di limbo culturale solo perché non hanno la voce “grossa”. E se, ancora, all’interno degli indirizzi principali delle materie accademiche, discipline come pittura e scultura godono di una sorta di prestigio storico-artistico, la scenografia teatrale rappresenta proprio la cenerentola delle cosiddette arti applicate: nessun contatto con organizzazioni teatrali o altre scuole di formazione teatrale (regia, recitazione, balletto ecc.), nessuna possibilità di apprendistato, una situazione di tagli allo spettacolo che partono dagli allestimenti scenici, piccole compagnie che rinunciano a qualsiasi forma di scena per mancanza di fondi e tante altre innumerevoli difficoltà, nessun aiuto alla ricerca in campo teatrale…Ed auspichiamo un festival? Non c’è qualcosa “prima” su cui riflettere?.
E pensare che i nostri studenti sono fra i più “detrminati” negli studi anche perché spesso questa loro scelta (coraggiosa, quella di dedicarsi agli studi artistici) viene costantemente avversata dalle famiglie (meglio avere un futuro da “velina”, chiamata “artista” anche lei, che da artista vero e proprio). Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: l’imperante ignoranza e cattivo gusto che si sta diffondendo capillarmente grazie anche a “maîtres a pénser” dell’immagine e dell’estetica, saccenti, volgari, presenzialisti e compiacenti. Cambiando, per ultimo, discorso: sa chi è il Presidente (di nomina ministeriale…) dell’Accademia di Brera di Milano, una delle accademie italiane più prestigiose, più frequentate e con il maggior numero di problemi finanziari e logistici? Il Prof. Stefano Zecchi, che noi docenti non abbiamo mai avuto l’onore di incontrare….
La prego: cerchi di dedicare, quando potrà o quando vorrà, un piccolo spazio nei suoi bellissimi articoli, al grande problema degli studi artistici in Italia (Accademie e Conservatori), anche senza prendere in considerazione questa mia lamentosa, lunga lettera.
La ringrazio di cuore. Un cordiale saluto.
Daniele Paolin
03/05/2010
Lettera a “la Repubblica” – 2006
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