IL CASO
Accademia di Belle Arti di via Ripetta
Allievi in fuga, degrado e liti tra i docenti
Troppi professori (uno per 10 studenti) e materie astruse
Il grande pittore manierista Federico Zuccari, che nel 1593 fondò la prestigiosa Accademia di San Luca, antico germe della moderna Accademia di belle arti di Roma, non avrebbe mai pensato che quattro secoli più tardi si sarebbe arrivati a questo punto: professori che litigano, iscritti che diminuiscono a vista d’occhio, attività didattica nel marasma. E neppure avrebbe potuto immaginare in quale modo incredibile la sua eredità, un tempo fiore all’occhiello dell’istruzione artistica italiana, sarebbe precipitata in un caos tale da rendere ormai inevitabile la resa dei conti. Nonostante le scontate resistenze burocratiche. Due anni fa (ministro dell’Università era Fabio Mussi) viene nominato alla presidenza dell’Accademia di belle arti di Roma Cesare Romiti. Ma appena entra nello stabile ottocentesco del Ferro di cavallo a via di Ripetta, dove ha sede l’Accademia, l’ex amministratore delegato della Fiat (oggi presidente d’onore di Rcs Mediagroup) si mette le mani nei capelli. L’edificio è malandato. Gli impianti sono in uno stato pietoso. I problemi, tuttavia, non riguardano soltanto le strutture fisiche. Gli studenti, infatti, continuano a diminuire, a dispetto di un numero di professori non irrilevante.
Dieci anni fa gli iscritti erano oltre 1.700: oggi sono 500 di meno. Il calo sfiora il 30%. In compenso, i docenti sono 117. Ovvero, uno ogni dieci studenti. L’elenco degli insegnamenti colpisce per la stravaganza di alcuni titoli. Come «Teoria della percezione e psicologia della forma». Oppure «Elementi di morfologia e dinamica della forma». O ancora «Fondamenti di informatica delle arti visive e plastiche ». Per non parlare dei contrasti, incessanti, fra i professori. Ce ne sarebbe abbastanza per rivoltare l’Accademia come un calzino. E magari affrontare una volta per tutte, con una riforma decente, il problema che è alla base di situazioni simili. Perché da dieci anni gli enti (un’ottantina) come le accademie e i conservatori musicali fanno capo a un settore del ministero dell’Istruzione che si chiama Alta formazione artistica e musicale, in gergo Afam, e sono sottoposti a un meccanismo gestionale insensato. Sono cioè in mano a due strutture parallele e di fatto totalmente indipendenti l’una dall’altra. C’è un consiglio di amministrazione, con relativo presidente. C’è poi un direttore didattico, eletto dai docenti con il consiglio accademico, che ha in mano la macchina dell’insegnamento e sul quale il consiglio di amministrazione non ha alcun potere.
Uno strabismo folle, conseguenza di una legge approvata durante gli ultimi mesi del governo di Massimo D’Alema, alla fine del 1999: la quale, per giunta non è mai stata regolamentata fino in fondo con ripercussioni assurde non soltanto sulla gestione pratica degli enti. Quella legge, per esempio, ha equiparato le accademie e i conservatori alle università, ma siccome non ci sono i regolamenti sulle corrispondenze dei titoli accademici, chi esce da quegli istituti non può fare concorsi pubblici. A marzo di quest’anno Gaia Benzi, una studentessa romana, ha consegnato questa amara diagnosi alla rivista Micromega: «È così che, da ormai dieci anni, le Accademie riformate sopravvivono immerse in un desolante deserto normativo, vittime e a volte complici della più totale anarchia legislativa. Leggi inesistenti, fondi miseri, ambiguità nella gestione. Cos’altro manca? L’arte è inutile, inefficiente, qualche volta pericolosa: meglio abolirla». Ma i tempi di reazione del ministero presidiato da oltre un anno da Mariastella Gelmini alle sollecitazioni che arrivano dai vertici dell’Accademia non sono fulminei, e i mesi passano inutilmente. La proposta, avanzata da Romiti, di mettere la faccenda nelle mani di una commissione di esperti per riscrivere le regole della governance, finisce su un binario morto. E identico esito ha l’idea del commissariamento.
Nel frattempo la situazione si fa sempre più complicata, come dimostra la circostanza che l’ultimo anno accademico sia iniziato di fatto addirittura nello scorso mese di marzo, con un ritardo senza precedenti. Finché qualche mese fa si presenta a piazza del Ferro di cavallo un ispettore del ministero che si mette a spulciare tutte le carte dell’Accademia. Le sue conclusioni sarebbero le stesse alle quali era arrivato il presidente: la governance dell’istituto non può funzionare e va radicalmente modificata. Nel rapporto, tuttora top secret, non si risparmierebbero poi le critiche alla direzione didattica. Ragion per cui l’ispettore avrebbe richiesto il commissariamento immediato della stessa direzione, ora affidata a Gerardo Lo Russo, e del consiglio accademico. Sottolineando l’esistenza di inefficienze e profondi contrasti nel corpo docente in un momento particolarmente delicato, proprio quando le strutture della scuola dovrebbero essere tutte coralmente impegnate nella preparazione di una Mostra storica dell’attività degli ultimi cinquant’anni, a cui viene attribuita una certa importanza. Non mancherebbe neppure qualche riferimento indiretto a episodi che avrebbero contribuito ad accentuare quei contrasti.
Come la tormentata vicenda della nomina, poi della sostituzione, e quindi della successiva rinomina, della vice direttrice che affianca Lo Russo: Claudia Alliata di Villafranca, docente della stessa Accademia e incidentalmente consorte del magistrato del Tar Carlo Modica de Mohac, capo di gabinetto del ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla. Ma neanche il risultato di questa indagine pare aver smosso finora le acque stagnanti del ministero dell’Istruzione. Il rapporto dell’ispettore giace da due mesi sulla scrivania del direttore dell’Afam, Giorgio Bruno Civiello, oltre che su quelle del potente capo del dipartimento del dicastero, Antonello Masia, e del ministro Gelmini. In attesa chissà di quali altri sviluppi. Forse un miracolo.
Sergio Rizzo
24 giugno 2009 (ultima modifica: 25 giugno 2009)
LETTERE AL DIRETTORE (CORRIERE) – MAI PUBBLICATA
Da: Daniele Paolin [mailto:paolindaniele]
Inviato: mercoledì 24 giugno 2009 19.16
A: sromano@rcs.it; lettere.corriere@corriere.it
Oggetto: Accademie di Belle Arti
Gentile Romano,
scrivo in merito all’articolo apparso oggi (24/06) sul Corriere a firma Sergio Rizzo dal titolo “Le pessime abitudini delle Belle Arti”. Cercherò di essere breve; mi creda, è molto facile scrivere male sulle Accademie: tutti coloro che dall’esterno hanno avuto l’avventura di entrare in qualcuna di esse, hanno trovato situazioni disastrose, penose, raccapriccianti, sia a livello logistico che a livello amministrativo. Il vostro giornale non è la prima volta che si occupa dell’argomento (vedi Accademia di Milano Brera e i suoi “scandali”). Mai però una sola volta ci si sia chiesti, al di là delle responsabilità personali oggettive di qualche dirigente inetto, come e perché si sia arrivati a questo punto. Mai una volta è apparso un articolo serio sulle lotte che da decenni (quasi mezzo secolo!) stanno facendo docenti e studenti che “fingono” di fare l’Università (pagando e studiando, gli studenti, nello stesso modo) senza esserlo, per un riconoscimento definitivo del ruolo che questi istituti storici hanno (vedi art. 33 della Costituzione), per un titolo di studio che soltanto in Italia è il massimo titolo in questo campo del sapere e della cultura, ma non è, e probabilmente non sarà mai, “laurea” (e ci si stupisce del calo degli studenti…!!!). Il nostro destino è sempre stato quello di sopportare “riformine” a costo zero con tutti i ministri che si sono succeduti; ed è solo da qualche hanno che facciamo parte del MIUR: prima eravamo sotto il ministero dell’Istruzione, come le medie e le superiori di cui ancora noi docenti conserviamo lo stipendio. Il nostro ordinamento, con qualche ritocco, è ancora ottocentesco, in un mondo che ormai non riconosce più il confine fra pittura, scultura, decorazione, ma è pieno di “istallazioni”, “performances”, video-arte, fotografia, scenografia digitale ecc.: secondo Lei “dove” si impara a “manipolare” questi nuovi strumenti e questi nuovi linguaggi, oltre a quelli “classici”? Quale altra istituzione è oggi in grado di garantire una seria preparazione nel campo del “fare” arte? Forse le facoltà universitarie, che di materie dai “titoli stravaganti” sono zeppe e che per “catturare clienti” si inventano (sul serio) titoli astrusi di materie dal contenuto artistico?
Come può un’Accademia come quella di Brera a Milano avere quasi 3000 studenti a fronte di 4 applicati di segreteria (come non è in effetti, ma come il limitatissimo ordinamento economico e normativo – non universitario – prevederebbe)? Quale politico si è mai mosso per queste istituzioni o ha fatto qualcosa per il loro destino o per una VERA riforma? Proprio in una Italia che dell’Arte è la riconosciuta culla? La presidenza del C. D. A. delle Accademie è quasi sempre un ultimo riconoscimento a figure, esclusivamente di matrice partitica, sulla via del “tramonto”, a personaggi che né di arte né di formazione artistica e dei suoi problemi si sono mai interessati (forse qualcuno neppure di quelli amministrativi…). Ma il problema è proprio questo: siamo in pochi (studenti e docenti) e “politicamente” e “scientificamente” non abbiamo nessun peso, soprattutto in questa economia e quindi il nostro “valore” di mercato è minimo; anzi, siamo un peso. Quindi: chiudiamo per sempre le Accademie, anche perché, a parte il lussuoso mercato fatto dai grandi nomi e dalle grandi speculazioni, l’arte, in sé, non interessa più a nessuno, tranne qualche pazzo o qualche estroso critico…che magari ha studiato “Teoria della percezione…” (chi non sa cosa sia, può andare a vedere, anche su Wikipedia, cos’ha scritto e chi era un certo Rudolf Arnheim…).
Daniele Paolin – Docente di “Tecniche di rappresentazione dello spazio” (stravagante…!) Accademia di Brera – Milano